Dolci senesi, la storia: il panforte e il panpepato

 

Panpepato

Quando si gusta uno dei dolci senesi, oltre al piacere, facciamo in pratica un tuffo nel passato, a tanti secoli fa quando iniziò il loro cammino di conoscenza e apprezzamento in tutto il mondo. Chiudiamo gli occhi e ripercorriamo  la loro storia,  attingendo ai numerosi documenti senza però tralasciare le suggestive leggende che da sempre contribuiscono a creare l’interesse di tutti. Panpepato, panforte, cavallucci, ricciarelli e copate, i magnifici cinque della tradizione senese, ognuno con una propria storia, mai banale, tutti con la stessa inimitabile originalità  e bontà. L’origine di questa straordinaria preparazione risale sicuramente all’alto medioevo e tante sono state le trasformazioni che ha subito nei secoli.

Inizialmente si preparava il melatello che altro non era che farina impastata con l’acqua dolciastra proveniente dalla lavatura dei contenitori del miele. Pian piano si aggiunse alla farina non più l’acqua mielata ma vero e proprio miele dando così vita al panes melato.

A questo manufatto si iniziò ad aggiungere la frutta di stagione, soprattutto susine, uva e fichi, che venivano aggiunti all’impasto grossolanamente spezzettati e cotti a temperatura moderata in modo da lasciare abbastanza morbida la pasta. La frutta aggiunta non subiva un processo di totale disidratazione, rimanendo piuttosto umida, ma se questa attenzione portava ad una maggiore gradevolezza della focaccia, contemporaneamente provocava, dopo qualche giorno, la formazione di muffe che conferivano al dolce un sapore acidulo, “fortis”.  Si iniziò a chiamarlo panes fortis.

Ai primi del XIII secolo iniziò l’importazione dall’oriente delle spezie, bacche, frutti, radici e foglie caratterizzate da uno spiccato sapore e profumo. Non era facile reperirle, né acquistarle tant’è che, per i prodigiosi poteri guaritivi a loro attribuiti, entrarono prevalentemente nelle spezierie, le moderne farmacie.

Ma non solo nelle spezierie si potevano reperirle, erano abbastanza comuni anche nei conventi, luoghi di culto e preghiera dove venivano portati dai pellegrini, reduci dai viaggi in Oriente, per ringraziare i Santi per gli scampati pericoli.

Pian piano si scoprì l’utilità delle spezie anche in cucina, soprattutto per il loro potere di aumentare la conservazione e anche di mascherare eventuali processi di eccessiva maturazione e fu Niccolò  dè  Salimbeni , detto il Muscia, principale animatore della Brigata Spendereccia e molto sensibile ai piaceri della tavola, ad introdurre l’uso del pepe, della cannella e dei chiodi di garofano in preparazioni culinarie. Risalgono a questo periodo le prime notizie sui panes melatos et pepatos e fa fede una pergamena datata 7 febbraio 1205, presente presso l’Archivio di Stato, in cui si riferisce di questi dolci portati come tributo al Monastero di Montecellesi, oggi Montecelso, nei pressi di Fontebecci.

E la leggenda vuole che proprio in questo Monastero nacque il panpepato.

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Si narra che Niccolò de’ Salimbeni , pentito per la sua vita dissoluta, avesse regalato alle suore del convento tutte le spezie di cui era in possesso. Un giorno una novizia, Suor Leta, nel mettere in ordine il cellario scoprì che i sacchetti delle spezie, quelli della farina, delle mandorle e dei canditi erano stati lacerati e il loro interno si era sparso, mescolandosi. Era impossibile dividere i vari ingredienti e pensò di mettere tutto al fuoco con il miele sperando di ottenere qualcosa di gustoso da regalare ai poveri. Mentre era intenta alla preparazione si avvicinò un gatto nero che strusciandosi alla tonaca invece di miagolare profferì delle parole. Suor Leta capì di avere di fronte il diavolo e lo mise in fuga tirandogli il composto bollente. Il trambusto non passò inosservato e fece accorrere Suor Berta, l’abbadessa,  che, dopo aver ascoltato il racconto della novizia, assaggiò il composto , trovandolo eccellente e denominandolo Panpepato.

Fantasia? Verità? Forse solo una leggenda, una delle tante che avvolgono di mistero la nascita di questo dolce così famoso e gustoso che non ci mette tanto tempo ad affermarsi anche al di fuori del territorio senese.

Documenti rintracciabili negli Archivi di molte città italiane ed europee comprovano che, a partire dalla metà del 1300, il panforte è tra i dolci più apprezzati, spesso presente nei menù delle grandi occasioni nelle corti e nei palazzi nobiliari.   La sua preparazione iniziò probabilmente  nei monasteri ma ben presto furono gli speziali, potendo disporre in abbondanza di tutte le spezie necessarie, a provvedere alla produzione del panpepato o panforte. Lo dimostrerebbe un documento del 1599 in cui i dodici speziali presenti allora a Siena, proponevano al Granduca Ferdinando de Medici, Governatore di Siena,  di insegnare la loro arte a chi lo avesse voluto, onde evitare la preparazione di un prodotto scadente. Esiste una antica pergamena risalente agli inizi del 1700, che elenca gli ingredienti necessari per la preparazione del panforte e, forse non casualmente, questi sono diciassette, quante le contrade rimaste dal 1675: miele, farina di grano, noci, nocciole di monte, mandorle, popone candito, cedro candito, arance candite, limone scorza candita, cannella corteccia, coriandoli, pepe aromatico, chiodi di garofano, noce moscata, acqua e foco.

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Ma non bastava, perché per raggiungere la perfezione occorreva anche “l’onestà”, la “laboriosità”, la “temperanza”, “l’amore per le cose belle e buone” e “l’amor di Dio”. Dai primi anni del 1800 nascono a Siena le prime fabbriche del panforte e pian piano questa produzione abbandona definitivamente le spezierie. Inizia un percorso di adattamento ai gusti sempre più esigenti e il panforte perde parte di quell’aggressività che lo caratterizzava. Basti di dire che intorno al 1820, dopo che lo zucchero aveva parzialmente sostituito il miele, nacque, con l’aggiunta di cacao, il panforte al cioccolato.

Ma fu nel 1879 che si registrò una vera rivoluzione nel concetto di panforte.

In occasione della visita a Siena di Umberto I e della consorte Margherita di Savoia fu creato un panforte molto delicato, utilizzando canditi ottenuti non più per fermentazione ma secondo le tecnologie più moderne del momento e ricorrendo all’uso di una miscela di spezie molto più delicata. Era nato il Panforte Margherita che da allora si è affiancato al più vetusto panpepato o panforte nero.

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