Gli odori fluttuano nell’aria fondendosi con i colori. Le urla degli abbanniatori fanno da colonna sonora, veri e propri spot che farebbero la fortuna di qualsiasi creativo. Sono espressioni dialettali apparentemente prive di significato se non quello di esaltare la propria merce, ma a un’analisi più attenta non sfugge che contengono metafore allusive e ironiche.
Il flusso delle persone ci trascina verso Ballarò e nel momento in cui ci troviamo tra le variopinte e animate bancarelle avvertiamo la sensazione di aver superato un confine, di essere entrati in un mondo senza uguali, improponibile altrove. Più che un mercato ricorda un souq arabo e non potrebbe essere altrimenti se accettiamo la teoria che l’etimologia della parola Ballarò deriva da “suq–al-Balari”, a un insediamento mercantile presso Monreale da cui provenivano i commercianti arabi che diedero vita a questo mercato.
Non ho mai considerato la Sicilia una regione, né un’isola. La Sicilia è una nazione dove le varie culture che si sono alternate nei secoli hanno lasciato un segno inconfondibile, un contributo importante che ė alla base di quello stile di vivere e pensare che ė la sicilianità. E mi si passi il termine.
Un tuffo a Ballarò ci permetterà di riscoprire uno spaccato del passato, le tradizioni mai tramontate, la vita quotidiana di uomini e donne che, tra contrattazioni e chiacchiere, animano le strade.
Trascinati dal flusso degli avventori avanziamo tra i banchi dove sono esposte le merci più varie. E’ uno slalom continuo tra Il pesce argenteo e dall’occhio vivo, la frutta profumata e saporosa, le verdure di stagione, le carni di bue, i polli, il maiale, l’irresistibile frutta secca, le olive di tutte le qualità, le coloratissime spezie, la pasta martorana, ma anche detersivi e oggetti per la casa.
L’impatto è coinvolgente e fatti pochi passi si è subito coinvolti dai ritmi, i rumori e i colori di questo microcosmo più unico che raro. Un insieme di tendoni colorati proteggono le merci in vendita contribuendo ad assumere quei colori che è difficile raccontare se non attraverso qualche scatto per altro poco gradito sia agli abbanniatori che agli avventori.
Un particolare ci colpisce. I prezzi praticati per ogni tipologia di merce, pur essendo stabiliti liberamente dai commercianti, sono costanti e si posizionano, a parità di qualità della merce in vendita, al punto di equilibrio fra domanda e offerta. Nessuna eccezione, nessuna trattativa, nessun accordo tra venditori.
Tra cassette di frutta e un carretto su cui troneggia un tonno, appare un bar dove gli anziani avventori guardano per l’ennesima volta, ma con la stessa curiosità, la vita che scorre davanti ai loro occhi. Sorseggiano una birra mangiando uno dei tanti cibi cotti che profumano di mille odori l’aria di Ballarò. Parlano, commentano, forse raccontano qualche episodio del passato. Poco lontano i tratti somatici degli ambulanti cambiano, ma non il loro modo di fare. La multietnicità qui è totale, vera, non sopportata. Cinesi, magrebini e centro-africani, abbanniano i loro prodotti esaltandone le qualità e la provenienza.
E’ l’ora di pranzo e un invitante odore di fritto avvolge gran parte del mercato. Qui il fast-food tanto di moda in continente non ha attecchito. A Palermo, a Ballarò, resiste lo street-food, il cibo da strada, la cucina vastasa, dalle panelle, allo sfincione, dalle patate bollite alle pollanche, pannocchie di mais lessate, dalle arancine ai cazzilli, dai calamari fritti al quarume.
E’ impossibile raccontare i sapori, ma a pensarci bene è difficile anche raccontare la vita di Ballarò e le sensazioni uniche che procura. Ballarò non si racconta, si vive.
Nicola Natili
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