Dolci tipici campani: la storia del Babà
Il Babà è un dolce è a base di farina di grano tenero, uova, burro, sale, zucchero e lievito di birra. La pasta va fatta lievitare due volte prima di cuocerla e dopo la cottura, negli appositi stampini, il tocco finale: l’aggiunta della bagna, una soluzione di acqua e zucchero, aromatizzata al limone e corretta al rhum.
Questo dolce, uno dei più famosi tra i dolci tipici campani, è uno dei simboli, se non il simbolo per eccellenza, della pasticceria napoletana, ma le sue origini si perdono in tempi e luoghi molto lontani.
Storia e leggenda accompagnano l’arrivo di questo delicato dolce all’ombra del Vesuvio, la cui invenzione è avvolta da un fumoso velo di mistero che, probabilmente, ha contribuito a farne il mito che è. Il babà non è solo un dolce, è eleganza, equilibrio e sapore. L’impatto con il palato è dirompente, quasi emozionante, una sublimazione completa e prolungata di gusto e sapori.
Le origini sono franco-polacche, ma si deve all’abilità dei pasticceri napoletani, che hanno saputo affinare e ben coniugare tra se gli ingredienti e il procedimento di realizzazione, se oggi possiamo gustare questo piccolo grande capolavoro di arte pasticcera.
La storia, o la leggenda, vuole che il babà sia nato in Francia nel 1700, alla corte di Stanislao Leszczynski, re di Polonia dal 1704 al 1735 anno in cui fu detronizzato da Pietro il Grande Zar di tutte le Russie. (http://it.wikipedia.org/wiki/Stanislao_Leszczyński). Per la sua stretta parentela con Luigi XV – la figlia Maria aveva sposato il Re di Francia – gli fu assegnato il Ducato di Lorena dove andò a vivere.
Particolarmente ghiotto di dolci costringeva i suoi pasticceri ad inventarne sempre di nuovi, ma con risultati talmente scarsi che quotidianamente gli veniva servito il “kugelhupf”, un dolce tipico di quel territorio, a base di farina, burro, zucchero, uova, zafferano e uva sultanina.
Insopportabile per un re triste e un giorno, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, allontanò con violenza il piatto con l’ennesimo kugelhupf, mandandolo a sbattere contro una bottiglia di rum giamaicano posizionata poco distante. Il liquido irrorò il dolce e l’aspetto assunto solleticò la curiosità di Stanislao che lo volle assaggiare. Ne rimase entusiasta e lo battezzò immediatamente Ali Babà, un riferimento evidente al personaggio de Le Mille e una Notte, un libro molto amato dal sovrano.
Ben presto il babà di Stanislao arrivò a Parigi e fu il famoso pasticcere Sthorer a perfezionarne la ricetta e a proporlo ai parigini nella sua pasticceria di Rue Montorgueil. Per anni il babà mantiene gli stessi ingredienti, ma la sua storia si arricchisce di un ulteriore capitolo quando Auguste Julien, rinomato pasticcere francese, alla fine del XIX secolo apporta delle modifiche sostanziali grazie alle quali spariscono dalla ricetta l’uvetta e lo zafferano, viene raddoppiata la quantità di burro utilizzato e gli viene assegnata una forma a ciambella. Anche il nome cambia, non più Alì Babà, ma Babà o Savarin.
A Napoli arriva agli inizi del ‘800 e a portarlo furono gli chef francesi al servizio delle famiglie nobili napoletane. Ben presto il babà si affermò in città e furono i cuochi napoletani a perfezionarne la ricetta, ad affinarne la qualità e ad assegnargli quella caratteristica forma a fungo giunta fino ai giorni nostri.
Babà non son fatti con tecnologia e secondo ricette di panettoni di una volta, la stessa tecnologia si usa per dolce cnosciuto con nome “pesche” (2 sfere inzuppate nel Alchermes e unite con crema o marmellata) e per le brioches francesi. La ricetta e le tecnologie sembra che derivano dal Bracchielatium antico romano (oggi conosciuto nel mondo come Kringel / Krendel, Bazel etc. e in Italia come un tipo di Buccellato). La ricetta delle Brioches è stata portata dall’Italia in Francia, come sembra, nei tempi della Corte Medicea e da lì si è diffusa in Europa. Fino ad oggi in Europa i Baba loro si fanno nella formina tonda non alta dai bordi ondulati – la stessa delle Brioches francesi, in Russia fino ad oggi la Brioches francese inzuppata nel Rum e coperta di zuchero fondente si chiama “Romovaja Baba”.
I Napoletani hanno messo l’impasto nei bicchierini e negli stampi ad anello (da buccellato morbido oggi conosciuto come Plum Cake) , hanno elaborato sciroppi alcolici per inzuppare dal gusto particolarmente gradevole e aromatico, hanno inventato farciture e decorazioni, la presentazione al piatto oggi conosciuta come Baba Bidimensionale e Baba Tridimensionale. Come con tutte le ricette famose, i Baba Napoletani sono stati portati in Francia e da lì copiati in altri paesi.
Errata corrige: volevo scrivere I BABA SONO FATTI… e non “Babà non son fatti…”